La settimana d'aprile appena passata ha riportato l'allarme sull'uso dei telefonini nei bambini e negli adolescenti.
Sono di volta in volta clinici, educatori, politici, scrittori, figure istituzionali e religiose a farsi carico di rivelare l'impatto negativo delle nuove tecnologie sulla crescita fisica e mentale delle nostre più giovani generazioni. Non si può non apprezzare questo atteggiamento premuroso. Tuttavia, nel tentativo di rinforzare il proprio messaggio il più delle volte si ricorre con superficialità a categorie diagnostiche proprie della clinica ma con un tono più o meno intenzionalmente accusatorio. Quindi l'allarme premuroso diventa condanna di una ipotetica malattia. Si incita così, ammesso che l'allarme sia fondato, a liberarsi da una dipendenza, come se si urlasse a un adulto di liberarsi dall'ipertensione. ... Negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi studi corposi e rigorosi che hanno fatto luce sui notevoli pregiudizi che hanno afflitto finora la ricerca stessa sull'impatto che le nuove tecnologie avrebbero per la vita e la crescita di bambini e ragazzi... Continua su Valigia Blu: https://www.valigiablu.it/dipendenza-giovani-cellulari/ Dopo che tre diversi medici mi hanno fatto stringere la mano, prendere a calci il palmo della loro mano, seguire il loro dito con gli occhi e sorridere (proprio come aveva fatto la mamma), ci hanno detto che avrebbero avuto bisogno di una RM per saperne di più. Non mi hanno detto a cosa corrispondessero le lettere RM. Robot Magico. Rossa Mostarda. Rock e Mustacchi. [in inglese, Massive Robot Intelligence. Mustard Rat from Indiana. Mustaches Rock Importantly. per MRI] “Maddie ha solo tre giorni di vita. Non c'è niente che possiamo fare”. Tre giorni. Il mio cuore è precipitato. Tre giorni? Ok, il neurochirurgo non ha detto così. Grazie al cielo. Ho sognato ad occhi aperti che l'avesse detto. Speravo anche che non dicesse: “Questo tumore è in realtà una creatura vivente e si nutre del cervello di Maddie. Tra poco prenderà il suo corpo e lo userà per conquistare il mondo, per fare di lei la regina, e per fare in modo che ogni giorno sia una vacanza e tutti debbano cucinare i suoi piatti preferiti a base di patate”. I tumori del Sistema Nervoso Centrale rappresentano, per incidenza, la seconda neoplasia dell’età pediatrica dopo le leucemie; sono la neoplasia solida più comune. Tra gli 0 e i 15 anni di età sono il 20-25% di tutte le neoplasie. In tutto il mondo l’incidenza corrisponde a 2-3 casi/anno/100.000 bambini. In Italia si ammalano ogni anno tra 400 e 450 bambini, negli Stati Uniti 2400. Un ulteriore numero di ammalati è determinato da patologie benigne e più rare come i craniofaringiomi, gli adenomi pituitari, i meningiomi benigni, i papillomi dei plessi corioidei che si aggiungono con un’incidenza di circa 0,7/100.000. Il 93% di questi tumori ha sede intracranica. Dati recenti provenienti da Europa, Australia, Stati Uniti, indicano che l’incidenza delle neoplasie del SNC è realmente aumentata negli ultimi due decenni. (Fonte: AIEOP) Ho messo la mano dove aveva appoggiato la testa mio padre. Bagnato. Lacrime. So che sembrerà stupido, ma ci ho messo il dito e poi mi son toccata la testa. Forse è così. Forse sono lacrime magiche e possono guarire il mio tumore. Il tipo di terapia dei tumori cerebrali è determinato dal tipo di neoplasia, dalla sede, dall'età e da una valutazione delle possibili conseguenze. L'opzione principale è la neurochirurgia, un intervento chirurgico per la rimozione dell'area tumorale. Tale terapia è anche di elezione nei casi di malformazioni cerebrali che causano crisi epilettiche resistenti ai farmaci. In base all'esito della neurochirurgia e all'esame istologico che classifica il tumore, possono essere prescritte chemioterapia e radioterapia. Ogni decisione terapeutica così complessa viene presa all'interno di un gruppo multidisciplinare di specialisti, che, sulla base agli esami diagnostici (elettrofisiologici, neurofisiologici, neuropsicologici, ecc.), arriva alle conclusioni più adatte a ciascun bambino e adolescente. I trattamenti multidisciplinari hanno determinato in Europa un miglioramento della sopravvivenza a 5 anni dal 57% al 65% per i bambini trattati dal 1983 al 1994 con una riduzione del rischio di morte del 3% per anno. La chirurgia è indicata nella maggior parte dei casi ed è strumento indispensabile per l’accertamento diagnostico e può essere curativa. I bambini dovrebbero essere operati da chirurghi con particolare esperienza in neurochirurgia pediatrica. (Fonte: AIEOP) Chirurgia? Non è quella parola strana che sta per tagliare qualcuno e sistemargli le cose dentro? Hanno intenzione di aprirmi la testa? Questa idea non mi piace molto. Oggi sono passata dal guacamole alla necessità di un intervento chirurgico al cervello. Boo. Triplo Boo. Super-ultra-quadrilione di fischi. La dottoressa Montoya ci ha spiegato che alcuni tubi hanno minuscole telecamere, quindi i medici possono vedere quello che stanno facendo, il che mi sembrava davvero fantastico. Alcuni degli altri tubi hanno degli strumenti per tagliare il tumore, e altri delle cose per succhiarlo. È stata la spiegazione più disgustosa e sorprendente di sempre. Certo, sarebbe molto più bello se tutti quei tubi andassero nella testa di qualcun altro. Il libro Mustaches for Maddie è stato scritto dai suoi genitori Chad Morris e Shelly Brown e racconta una storia vera di una famiglia che affronta un tumore cerebrale e di una comunità che indossa i baffi per darle coraggio e sostegno. Da alcune settimane Maddie una bambina di 12 anni aveva problemi con il lato sinistro del corpo: il braccio e la gamba non rispondevano molto bene ai comandi e ultimamente diventavano sempre più strani. Anche orientarsi verso gli oggetti a sinistra non le risultava così semplice. Maddie superava queste difficoltà con una fervida fantasia, inventando storie di armi segrete e fantascienza. La situazione però peggiorava in modo evidente a tutti e una mattina la madre le disse: “Maddie, stai tenendo il tuo braccio in modo strano di nuovo. Sei sicura che sia tutto a posto?”. Il braccio sinistro proprio non voleva muoversi. Allora la madre le lanciò un avocado verso il braccio sinistro che non ebbe reazioni, né la mano destra fu così pronta ad intervenire per impedire che l'avocado colpisse la spalla di Maddie e cadesse a terra. Anche il sorriso di Maddie era a metà, solo sulla metà destra della bocca. A febbraio 2013 le fu diagnosticato un tumore dell'ipofisi, una ghiandola situata in una piccola cavità della superficie dell'osso sfenoidale detta sella turcica, alla base del cervello. Si tratta di un tumore raro e l'aumento delle sue dimensioni causa l'esordio di problemi ormonali e neurologici. Nel libro i genitori raccontano lo shock, le visite in ospedale, le giornate a scuola di Maddie mentre si preparava a salutare tutti prima di assentarsi per due settimane per l'intervento chirurgico. Raccontano dei baffi finti, uno dei giochi preferiti di Maggie, indossarli le cambiava l'umore e le accendeva la fantasia, già fervida peraltro. Presero a indossarli i suoi quattro fratelli, le sue amiche, i suoi compagni di scuola, i parenti e molte altre persone, mandandole le loro foto mentre lei era ricoverata in ospedale: “la gente si è davvero messa i baffi, ha fatto delle foto e le ha mandate a lei o le ha pubblicate su Internet con l'hashtag #mustachesformaddie”. L'intervento neurochirurgico era stato condotto con approccio trans-naso-sfenoidale cioè inserendo le sonde endoscopiche dal naso e attraverso il seno sfenoidale. Il tumore non fu assorbito del tutto per limitare gli effetti collaterali. Alla fine del 2014 Maddie fu sottoposta a un secondo intervento per rimuovere la parte restante del tumore e una cisti che vi era cresciuta sopra. Stavolta l'intervento neurochirurgico fu transcranico, con la craniotomia. Avevo ancora un po' di tumore nella mia testa. Non mi sentivo più come se ci fossero dei dinosauri sulla mia testa, solo dei piccoli rinoceronti. Ma pure i rinoceronti fanno male. E se mi muovevo troppo o troppo velocemente, stavo male. Maddie ha continuato a fare i controlli annuali neurologici e neuroradiologici e non ci sono stati altri segnali di recidiva. La risonanza magnetica – RM – le è diventata molto familiare. Nel libro viene raccontato anche il momento della comunicazione della diagnosi, alla presenza di Maddie, con tutti i dettagli. Sono poi i genitori che rispondono a tutte le sue domande, la rassicurano in parte, senza impedirle di riflettere su tutte le possibili conseguenze. Proprio per questo lascia dei biglietti a tutti, anche alla sua famiglia. I minori hanno il diritto di essere informati sulla loro salute. La modalità con cui vengono fornite le informazioni e il loro approfondimento dipende dall'età del bambino, dal contesto familiare e da come la famiglia può reagire alla situazione. Negli ospedali specializzati, dell'équipe fanno parte anche psiconcologi che seguono le famiglie dall'inizio e attraverso i numerosi accertamenti diagnostici e poi durante e dopo i trattamenti. Nelle fasi successive può essere difficile gestire la paura delle recidive, la regressione comportamentale che si osserva in alcuni bambini e anche i sentimenti ambivalenti dei fratelli. Più della metà dei bambini che si ammala di tumore cerebrale ha attualmente la possibilità di guarire e di diventare adulto. In molti casi possono permanere deficit neuropsicologici, endocrinologici e metabolici di diversa gravità. Pianificare gli interventi riabilitativi e il supporto psicologico oltre ai controlli periodici diventa quindi fondamentale per ridurre l'impatto di tali deficit. Lo sviluppo cognitivo dei bambini con esiti di tumore cerebrale può essere influenzato da due categorie di fattori: deficit causati dal tumore in sé e dalla sua localizzazione, deficit indotti dalle terapie che aggravano gli effetti secondari della patologia primaria. La localizzazione del tumore è un fattore cruciale che causa deficit elettivi che dipendono dall’area coinvolta. I trattamenti oncologici (radioterapia e chemioterapia) possono contribuire alla determinazione di deficit neuropsicologici intellettivi complessi. (Fonte: AIEOP) Il messaggio di Maddie alla fine del libro: La parte sul mio tumore è piuttosto accurata, tranne che gli interventi chirurgici sono stati a distanza di circa un anno e mezzo, anziché di mesi. Penso che chiunque legga questo libro dovrebbe rendersi conto della morale della storia... Rullo di tamburi prego... Adoro patate e baffi! E quando le cose si fanno difficili, puoi sempre trovare il modo di ridere. Cerco davvero di essere amica di tutti. Non sempre capiamo quali sono le prove che altre persone stanno attraversando. A volte ci vuole coraggio per essere gentili con alcune persone. Ma dobbiamo sempre difendere ciò che è giusto. Si può fare. Sempre e ovunque, si può avere compassione. Tutti hanno bisogno di un amico e quell'amico puoi essere tu. Quindi mostra loro che ti interessano davvero. Sii gentile. Sorridi di più. Ridi di più. Sogna di più. pubblicato il 6 gennaio sul Psicolab
![]() UNA FREDDA GIORNATA D'INVERNO; BIANCHI FIOCCHI CADEVANO VOLTEGGIANDO DAL CIELO COME PIUME LEGGERE E UNA REGINA SEDEVA RICAMANDO ACCANTO ALLA FINESTRA Gaia legge senza esitazione questo testo, è rapida anche con le parole più lunghe e difficili. Ha 6 anni, frequenta le ultime settimane di scuole dell'infanzia e nessuno le ha insegnato a leggere. Da un anno ha iniziato a leggere tutto quello che trova nel suo campo visivo: segnali, insegne, sottotitoli alla tv. Gaia ha una disabilità intellettiva. Ha presentato un ritardo nello sviluppo del linguaggio e delle autonomie mentre pochi mesi dopo il primo compleanno ha imparato a camminare e poi a correre. Il suo profilo cognitivo è lievemente inferiore a quello dei bambini della sua età. Non ha avuto problemi alla nascita e non ha malattie neurologiche. Tutti gli accertamenti sono risultati nella norma ad eccezione di due mutazioni cromosomiche che non sono collegate a un fenotipo specifico. Gaia può riconoscere Biancaneve tra i vari personaggi delle fiabe ma non è rimasta mai a lungo ad ascoltarne il racconto né è in grado di ricordarne fedelmente l'introduzione: “Era una fredda giornata d'inverno...”. Torna a controllo dopo due anni. Non solo è cresciuta, il suo comportamento è molto cambiato. Anche i genitori sono più sollevati. Sono scomparsi quei rituali – fare un certo numero di passi in avanti e poi all'indietro, sistemare degli oggetti nelle stesse posizioni - che Gaia doveva fare prima di andare in bagno o sul divano o a letto. Riescono a frequentare di più gli amici e ad andare a mangiare fuori. Alla scuola dell'infanzia è stata bene e tra qualche mese andrà alla primaria. Mentre noi parliamo lei rimane lì seduta, attenta, di tanto in tanto interviene nella conversazione. Un paio d'anni fa sarebbe stato impossibile. Di tanto in tanto legge uno dei nomi sui disegni attaccati alle pareti. Ha iniziato a collaborare per tutta la durata delle sessioni settimanali di logopedia e psicomotricità che segue da più di tre anni. A scuola ha l'insegnante di sostegno che l'aiuta a finire le attività più difficili e a farsi intendere, nonostante quel piccolo bagaglio di frasi semplici che spesso si ripetono. L'agitazione, l'opposizione, l'impulsività e lo scarso senso del pericolo sono stati sostituiti da una maggiore interazione con l'ambiente circostante. Per lei vuol dire riuscire a comunicare meglio con gli adulti e riuscire a giocare con gli altri bambini. Adesso Gaia quando si emoziona muove ripetitivamente le braccia e le mani, se sente rumori ambientali di forte intensità o suoni acuti può urlare spaventata o piangere. Reagisce molto male e si ribella se ci sono degli imprevisti o dei cambiamenti nelle sue abitudini quotidiane. Se Gaia insegue avidamente ogni opportunità di lettura è per l'iperlessia.. Nei bambini con iperlessia lo sviluppo motorio tende ad essere regolare, mentre lo sviluppo del linguaggio è tipicamente rallentato. Le prime parole (ad es. “mamma”, “papà”, “pappa”) sono pronunciate dopo i 12 mesi e di solito ancora più tardi, tra i 18 mesi e i 2 anni. Nei mesi seguenti l'espressione verbale si arricchisce di brevi frasi stereotipate (ad es. frasi tratte dai cartoni animati), di frasi ripetute più volte (perseverazioni) e di ripetizioni immediate o differite di quanto viene detto o chiesto da un interlocutore (ecolalia, ad es. alla domanda “come ti chiami?” la bambina non risponde col proprio nome ma ripete “come ti chiami?”). Dopo i 4 anni aumenta il numero di parole pronunciate ma la frase tende a restare semplice e a presentare sistematici errori nei suoni delle lettere (soprattutto per le consonanti) e nella grammatica (ad es. mancanza di preposizioni, scambi tra singolare plurale, verbi all'infinito). Benché la bambina ricerchi le interazioni con gli altri bambini, la conversazione diventa in poco tempo difficile da sostenere. La comprensione è buona per le parole e per le richieste concrete ma diventa difficoltosa per frasi complesse, astratte e prive di riferimenti attuali. A queste caratteristiche che riguardano l'evoluzione del linguaggio, nei bambini iperlessici si associano dei comportamenti caratterizzati da rituali bizzarri prima di iniziare determinate azioni, ipersensibilità uditiva, olfattiva e tattile, ansia generalizzata, necessità di abitudini fisse e regolari, movimenti stereotipati e ripetitivi, iperattività. Sono questi a spaventare di più i genitori e a ritardare l'inserimento alla scuola dell'infanzia. Tuttavia, trascorrere la giornata con i propri coetanei, attraverso la mediazione dell'insegnante di sostegno nelle situazioni più difficili, aiuta la bambina a crescere, ad adattarsi e ad apprendere azioni più funzionali. Dopo i 5 anni il comportamento diventa più organizzato e tale da permettere alla bambina di adattarsi anche ai contesti ricchi di stimolazioni (al supermercato, al ristorante, ecc.). L'interazione con gli altri bambini diventa più prolungata attraverso il gioco mentre le peculiari sfumature della comunicazione verbale creano difficoltà di socializzazione. Con l'inizio della scuola primaria sarà possibile acquisire le abilità strumentali di base. Dal momento che la lettura è già molto fluida, l'obiettivo del piano didattico individualizzato e della logopedia sarà di riempire di significati quelle frasi lette con tale scioltezza. Tra un paio d'anni potremo verificare i traguardi raggiunti da Gaia... Sull'iperlessia è stata da poco pubblicata una revisione sistematica: Hyperlexia: Systematic review, neurocognitive modelling, and outcome di Ostrolenk, Forgeot d'Arc, Jelenic , Samson e Mottron. I criteri che definiscono l'iperlessia sono 4: 1. presenza di un disordine del neurosviluppo; 2. abilità di lettura superiori alle abilità di comprensione o di intelligenza generale; 3. precoce acquisizione della lettura senza uno specifico insegnamento; 4. attrazione per materiale da leggere. La lettura viene appresa spontaneamente e precocemente, senza un insegnamento specifico, entro i 5 anni nonostante le difficoltà nel linguaggio. I bambini con iperlessia possono leggere a prima vista e speditamente parole, frasi, brani più o meno complessi senza però riuscire ad accedere al significato di quelle parole, frasi, brani. Le prime descrizioni note di casi di iperlessia risalgono ai primi decenni del 1900. Hollingworth e Windorf (1918) scrissero che casi con difficoltà intellettive e un talento innato per l'automatismo della lettura sono altrettanto frequenti di casi di bambini con intelligenza normale e difficoltà di lettura. Il termine iperlessia venne introdotto nel 1967 da Silberberg e Silberberg per descrivere un'abilità di decodifica delle parole superiore all'abilità di comprensione delle stesse. Più frequentemente l'iperlessia è associata ai disturbi dello spettro autistico. Gaia ha dei movimenti stereotipati e una difficoltà di comunicazione verbale ma la sua ricerca delle interazioni sociali è continua e i suoi interessi sono diversificati. Alcuni ricercatori, soprattutto negli anni 1990, considerarono la dislessia (difficoltà di decodifica di diverso grado, normale comprensione) e l'iperlessia (difficoltà di comprensione, rapida decodifica) come i due estremi di un continuum della capacità di lettura. L'unico aspetto che possono avere in comune è la non comprensione di un testo letto direttamente, anche se nell'iperlessia è molto più compromessa, mentre nella dislessia se uno stesso brano è letto da altri viene rapidamente compreso. L'iperlessia corrisponde quindi a un'avanzata e precoce automatizzazione nel decifrare il codice alfabetico, cioè di quel meccanismo di conversione da grafema a fonema, e nel successivo uso della sequenza di suoni per costruire rapidamente la parola (fase alfabetica della lettura). Scomponiamo tutto quello che avviene durante la lettura senza che ne siamo più consapevoli dopo i primi anni di scuola primaria: le parole di un testo scritto vengono segmentate nei segni grafici della propria lingua (grafemi), nell'italiano a ogni segno viene associato un suono corrispondente (fonema) e poi tutti i suoni vengono fusi in un'unica parola. Nell'iperlessia questi processi diventano precocemente e spontaneamente automatici. Quello che non viene raggiunto è l'ultimo stadio della lettura, che consiste nell'associare la parola letta al suo significato. Il mancato accesso al sistema semantico è all'origine delle difficoltà di comprensione. L'iperlessia è una condizione rara, per la quale non sono ancora state studiate sistematicamente le possibili cause neurobiologiche e neppure le strategie più efficaci di riabilitazione. Rappresenta un punto di forza nei bambini con disabilità intellettiva in quanto permette di concentrare i primi anni di scuola primaria – quelli di solito necessari a rendere automatico e veloce l'intero processo di lettura – sulle strategie di accesso ai significati e sul miglioramento della comprensione verbale. L'iperlessia non è una superabilità ma un'abilità da far fiorire, arricchendola di contenuti anno dopo anno e in base alle possibilità individuali e condividendola nei diversi contesti sociali della quotidianità. Il post è stato pubblicato il 9 settembre 2018 su Psicolab “Te lo buco quel cellulare!” I dispositivi digitali: tra soliti allarmi e indicazioni documentate.22/1/2018
![]() Di tanto in tanto qualcuno – pediatra, insegnante, ricercatore, psicologo, pedagogista, ecc. - si sveglia e invoca a gran voce da qualche giornale: “Basta cellulari ai bambini!”, “sono pericolosi!!”, “fanno male!!” A quali rischi andrebbero incontro i bambini: vita sedentaria, difficoltà di attenzione, disturbi del sonno, aggressività, isolamento sociale, cyberbullismo. Di tutto questo non ci sono prove nella letteratura scientifica. Immaginiamo per un attimo questa situazione: rimane in classe a ricreazione, rimane da solo al suo banco, un dito e via da una pagina all'altra, non ascolta se lo chiami, reagisce male quando glielo strappi dalle mani, qualche compagno entra e lo strattona o lo sbeffeggia, poi a casa lo riprende, lo porta anche a letto e così si addormenta tardi. Maledetti cellulari! E se quel bambino avesse un libro? Cosa cambia da un telefono a un tablet a un libro a un lettore di ebook? Cambia la nostra reazione? Di sicuro dai 40 anni in poi ciascuno dovrebbe astenersi da un giudizio sulle nuove tecnologie se non è ben informato o lavora in quel campo 1. Tutto quello che è al mondo quando nasci è normale 2. Tutto quello che viene inventato da allora ai tuoi 30 anni è incredibilmente eccitante e innovativo e con un po' di fortuna potresti farne una carriera; 3. Tutto quello che viene inventato dopo i tuoi 30 anni è contro l’ordine naturale delle cose e l'inizio della fine della civiltà come lo conosciamo... Douglas Adams Oggi quelle digitali sono competenze indispensabili per stare con consapevolezza e positività nel mondo globale, per non subire i cambiamenti, per governarli e orientarli su prospettive utili al Paese. La natura dell’innovazione, della scuola e per la scuola, è quindi prima di tutto culturale. Sono le parole della Ministra dell'Istruzione Valeria Fedeli che il 19 gennaio ha anticipato a Bologna i risultati del gruppo di lavoro sull'utilizzo di dispositivi personali mobili a scuola. In quell'occasione è stato diffuso un decalogo di sintesi basato sulle evidenze e lungimirante Non è compito del Ministero o della scuola decidere se i device sono bene o male, ma lo è insegnare ad usarli nel modo più utile e corretto. Per permettere a ogni ragazza e ogni ragazzo di avere esperienze sicure, libere e consapevoli, contrastando in modo positivo e attivo, non con divieti ma proprio con l’educazione, ogni tipo di dipendenza, anche dagli strumenti tecnologici. Voglio ribadire in ogni caso, che resta proibito, come stabilito dalla circolare del 2007 dell’allora Ministro Fioroni, l’uso personale di ogni tipo di dispositivo in classe, durante le lezioni, se non condiviso con i docenti a fini didattici. Ecco i 10 punti del decalogo. 1. Ogni novità comporta cambiamenti. Ogni cambiamento deve servire per migliorare l’apprendimento e il benessere delle studentesse e degli studenti e più in generale dell’intera comunità scolastica. 2. I cambiamenti non vanno rifiutati, ma compresi e utilizzati per il raggiungimento dei propri scopi. Bisogna insegnare a usare bene e integrare nella didattica quotidiana i dispositivi, anche attraverso una loro regolamentazione. Proibire l’uso dei dispositivi a scuola non è la soluzione. A questo proposito ogni scuola adotta una Politica di Uso Accettabile (PUA) delle tecnologie digitali. 3. La scuola promuove le condizioni strutturali per l ’ uso delle tecnologie digitali. Fornisce, per quanto possibile, i necessari servizi e l’indispensabile connettività, favorendo un uso responsabile dei dispositivi personali (BYOD). Le tecnologie digitali sono uno dei modi per sostenere il rinnovamento della scuola. 4. La scuola accoglie e promuove lo sviluppo del digitale nella didattica. La presenza delle tecnologie digitali costituisce una sfida e un’opportunità per la didattica e per la cultura scolastica. Dirigenti e insegnanti attivi in questi campi sono il motore dell’innovazione. Occorre coinvolgere l’intera comunità scolastica anche attraverso la formazione e lo sviluppo professionale. 5. I dispositivi devono essere un mezzo, non un fine. È la didattica che guida l’uso competente e responsabile dei dispositivi. Non basta sviluppare le abilità tecniche, ma occorre sostenere lo sviluppo di una capacità critica e creativa. 6. L ’ uso dei dispositivi promuove l ’ autonomia delle studentesse e degli studenti. È in atto una graduale transizione verso situazioni di apprendimento che valorizzano lo spirito d’iniziativa e la responsabilità di studentesse e gli studenti. Bisogna sostenere un approccio consapevole al digitale nonché la capacità d’uso critico delle fonti di informazione, anche in vista di un apprendimento lungo tutto l’arco della vita. 7. Il digitale nella didattica è una scelta: sta ai docenti introdurla e condurla in classe. L’uso dei dispositivi in aula, siano essi analogici o digitali, è promosso dai docenti, nei modi e nei tempi che ritengono più opportuni. 8. Il digitale trasforma gli ambienti di apprendimento. Le possibilità di apprendere sono ampliate, sia per la frequentazione di ambienti digitali e condivisi, sia per l’accesso alle informazioni, e grazie alla connessione continua con la classe. Occorre regolamentare le modalità e i tempi dell’uso e del non uso, anche per imparare a riconoscere e a mantenere separate le dimensioni del privato e del pubblico. 9. Rafforzare la comunità scolastica e l ’ alleanza educativa con le famiglie. È necessario che l’alleanza educativa tra scuola e famiglia si estenda alle questioni relative all’uso dei dispositivi personali. Le tecnologie digitali devono essere funzionali a questa collaborazione. Lo scopo condiviso è promuovere la crescita di cittadini autonomi e responsabili. 10. Educare alla cittadinanza digitale è un dovere per la scuola. Formare i futuri cittadini della società della conoscenza significa educare alla partecipazione responsabile, all’uso critico delle tecnologie, alla consapevolezza e alla costruzione delle proprie competenze in un mondo sempre più connesso. Quali sono i risultati scientifici più rilevanti sull'uso dei cellulari da parte di bambini e adolescenti? Continuare la lettura sul blog: “Te lo buco quel cellulare!” ![]() All’intervallo spesso sto solo. Tanto dura solo dieci minuti. Loro parlano di gruppi musicali nuovi e di fidanzati. Ho provato un giorno a conversare con loro sulla teoria dei buchi bianchi e neri, ma mi hanno riso in faccia. Margherita soffre, è emotiva, ipersensibile, incostante. Inizia una gran quantità di progetti, li prende e li lascia, difficilmente li porta a termine, si sente frustrata ed è quasi sempre insoddisfatta. È ipercritica e si giudica un’incapace. Spesso mi soffermo a chiedermi se questa sua dote, queste sue elevate capacità cognitive siano state presenti dalla nascita o si siano sviluppate come forma di adattamento, come risposta alla sordità, ma la risposta non è poi così importante. Ciò che conta veramente è che questa è la storia di Francesca, la storia della mia bambina nata tre volte Poi è cominciata la scuola elementare. Nel comportamento avevo il massimo dei voti: dieci. I miei quaderni sembravano stampati, perché ci tenevo a essere precisa. La mia passione erano le operazioni matematiche e l’arte. Ogni cosa la traducevo sotto forma di numeri o di sigle. Due anni fa ho tentato il suicidio. Non riuscivo più a dare un senso alla mia esistenza. Avrei voluto gridare al mondo che io non volevo essere l’amica di tutti, pronta ad aiutare chiunque, la studentessa modello, adeguata al gruppo, pronta a ridere e scherzare su cose che neanche seguivo o mi interessavano. Ho una famiglia meravigliosa che mi è vicino. Li vedo confusi e spaventati. Anche loro non riescono a capire. Mi hanno portato da ogni specialista possibile, ma sembrava che nessuno avesse una risposta convincente. Mi sono convinta a poco a poco che avessi un disturbo. [...] Adesso io so che sono plusdotata. Sono alcuni estratti dal libro Ad alto potenziale. Storie di bambini plusdotati, a cura di Viviana Castelli, Antonella Torriani, Simona Spinelli e Rossella Meloni dell'Associazione Step-net. Tanti, troppi, sono i falsi miti che circondano i bambini gifted e le loro famiglie; Step-net si è impegnata a sfatarli, perché i bambini e i ragazzi gifted non sono geni, non sono fenomeni, sono anzitutto bambini e ragazzi. Farfalle di cristallo, tanto intelligenti quanto sensibili, fragili e spesso non capiti. La plusdotazione cognitiva (o alto potenziale cognitivo) è caratterizzata da: intelligenza superiore alla media; abilità scolastiche (ad es., lettura) superiori alla media; elevata motivazione ad apprendere e ad approfondire argomenti specifici; creatività in più aspetti; atteggiamenti direttivi; asincronia tra le abilità cognitive e le abilità emotive. A questi aspetti, possono esserne associati altri: distraibilità; linguaggio iperfluente; apparente disorganizzazione; necessità di iniziare più attività contemporanee; bassa tolleranza a rimanere su compiti facili o ripetitivi; estrema sensibilità alle critiche; iperattività e ridotto bisogno di dormire. Tanto maggiore è l'asincronia tra abilità cognitive e emotive, tanto più gli aspetti comportamentali critici possono risultare amplificati ed essere segnali di disagio. Il disagio può manifestarsi a casa, a scuola, nelle attività sportive e ricreative e nelle relazioni con i coetanei. L'identificazione della plusdotazione cognitiva rappresenta il primo passo per dare significato alle peculiarità osservate dalla famiglia, per accrescere la consapevolezza del/la bambino/a, adolescente, adulto/a, per attivare percorsi educativi personalizzati, per pianificare attività di arricchimento e per prendersi cura eventualmente del disagio psicologico. Il libro fornisce gli strumenti per riconoscersi nelle storie raccontate, per dare senso a tanti comportamenti e per non sentirsi isolati. L'associazione poi è impegnata a dare informazioni, indicazioni e supporto affinché le famiglie possano muoversi tra scuola, specialisti, attività e formazione. L'Associazione Step-net ha referenti in quasi tutte le regioni . Buona lettura! Un decalogo per l'uso corretto di Whatsapp dall'Associazione di Psicologi della regione spagnola di Castilla y Leon (Grazie a Marcello Metitieri Salazar)
Marco ha 3 ½ anni, un linguaggio fluido e ottime abilità relazionali. Frequenta la scuola dell'infanzia ed è ben integrato con i compagni. Manifesta da circa un anno dei movimenti stereotipati con estensione di un braccio e contemporanea deviazione della testa e della bocca. Sono movimenti che durano da 5 a 10 secondi ma sono molto frequenti durante la giornata, soprattutto nei momenti di eccitazione o di noia. Non condizionano le varie attività quotidiane. La visita neurologica ha escluso che si tratti di epilessia o di un'altra condizione patologica. All'esame neuropsicologico, lo sviluppo cognitivo risulta nella norma. Più volte durante le prove di abilità, Marco ha manifestato i suoi movimenti in risposta alle approvazioni e ai complimenti.
Matteo ha 4 ½ anni, un linguaggio fluido e buone abilità relazionali. Frequenta il secondo anno di scuola dell'infanzia ed è ben integrato in classe ma i suoi comportamenti a volte non sono accettati dai compagni, che lo allontanano. Da circa due anni, Matteo manifesta dei movimenti stereotipati complessi che coinvolgono le braccia, le spalle e il viso. Accade diverse volte durante la giornata, soprattutto mentre guarda dei video. Marco fa anche fatica a restare a lungo su un gioco, è agitato e iperattivo. La visita neurologica ha escluso condizioni patologiche. L'esame neuropsicologico ha evidenziato uno sviluppo cognitivo nella norma ma difficoltà nell'attenzione e nel comportamento. I genitori sono stati istruiti su come agire quando si manifestano i movimenti stereotipati e Matteo inizierà un intervento di neuropsicomotricità. Con il termine stereotipie s'intende un'ampia varietà di schemi di movimento ripetitivi che sono attuati senza intenzionalità né consapevolezza. Possono essere movimenti semplici (battere o scuotere le mani, strofinare pollice e indice, tossire, annusare) oppure più complessi e in questo caso coinvolgono più parti del corpo oppure oggetti (fissare un oggetto o le proprie dita mentre si fanno fluttuare davanti al viso, battere o mordere una penna). Si tratta di movimenti che possono essere presenti a tutte le età, in presenza o assenza di condizioni neurologiche o neuropsicologiche. Possono essere interrotti da un rumore o da un altro stimolo sensoriale. Creano disagio in chi li osserva e possono dare origine a stigma, che comporta ad es. l'isolamento in classe del bambino o la sua derisione. I movimenti stereotipati possono durare da qualche secondo ad alcuni minuti, hanno una frequenza pluriquotidiana e si intensificano nei momenti di tensione, stanchezza, noia o eccitazione. Nei bambini l'esordio avviene tipicamente tra i due e i tre anni. Si differenziano dai tic, che esordiscono tra i 5 e i 7 anni, hanno una durata più breve e seguono schemi meno rigidi. È importante distinguere i movimenti stereotipati primari da quelli secondari, che sono associati a condizioni neurologiche, genetiche o neuropsicologiche o a disturbi del neurosviluppo. Tali movimenti, difatti, possono rappresentare un criterio di diagnosi dell'autismo, sono associati alle disabilità intellettive, si osservano anche negli adulti a seguito di lesioni e traumi cerebrali che coinvolgono i lobi frontali e nelle malattie degenerative. In questi casi, possono manifestarsi con una maggiore gravità e richiedere una supervisione. Le stereotipie secondarie possono essere osservate anche nei bambini con disturbo da deficit di attenzione-iperattività, ipovisione, ipoacusia, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi di apprendimento. I movimenti stereotipati primari non sono associati a un'altra condizione clinica e si possono osservare in circa il 20% di bambini con uno sviluppo cognitivo normale. Si dividono in 3 gruppi: - semplici (ad es. suzione del pollice, dondolamento, tamburellamento con le dita); - atipici (ad es., movimenti ritmici del capo); - complessi (ad es., movimenti complessi della mano e del braccio che accompagnano particolari posture del corpo). Le stereotipie primarie, se persistono oltre l'età evolutiva, possono modificarsi. Devono però essere differenziate dalle abitudini acquisite. Cosa si può fare? Dopo aver accertato che si tratta di movimenti stereotipati primari nell'ambito di uno sviluppo cognitivo nella norma, può essere attuato un intervento comportamentale che coinvolga il bambino e la famiglia. Tale intervento è basato su due aspetti: - dare consapevolezza delle stereotipie che, essendo automatiche, sfuggono alla volontà; - rinforzare positivamente l'interruzione delle stereotipie stesse, man mano che il bambino diventa via via più consapevole. Si tratta di applicare a casa delle strategie comportamentali definite da una serie di istruzioni. Mirco è un bambino di quasi sei anni, con un linguaggio molto fluido e ricco. Sta per finire la scuola dell'infanzia. Si relaziona bene con i coetanei e pratica sport. Manifesta da circa tre anni dei movimenti stereotipati complessi delle braccia, delle spalle e della testa. Sono movimenti che durano meno di 10 secondi, sono pluriquotidiani e si manifestano quando Mirco è eccitato, in attesa di un evento o nelle pause delle varie attività. All'esame neuropsicologico, lo sviluppo cognitivo risulta nella norma. Durante l'esame Mirco ha manifestato ripetutamente i suoi movimenti tra una prova e l'altra. I genitori, assieme a Mirco, iniziano ad applicare le strategie comportamentali, seguendo le istruzioni fornite. Dopo sei mesi i movimenti stereotipati si sono quasi del tutto ridotti e Mirco ne è diventato consapevole e ci scherza su. Durante l'esame di controllo, le stereotipie si manifestano solo quando Mirco è messo sotto stress ma è ormai anche in grado di interromperle. Per avere informazioni sulla diagnosi e sul percorso di supporto - che può comprendere psicomotricità, intervento comportamentale individuale, supporto alla famiglia per la gestione, indicazioni per la scuola - si può fare riferimento a specialisti neuropsichiatri infantili e psicologi del distretto sanitario di riferimento oppure presso i centri diagnostici accreditati per l'età evolutiva. Ancora oggi capita di affrontare nella pratica clinica opinioni contrarie al bilinguismo. Una di queste, molto resistente al tempo, è che i bambini che presentino disordini dello sviluppo – da un disturbo del linguaggio, alla disabilità intellettiva, all'autismo, alla sindrome di Down – non debbano essere esposti all'apprendimento di più lingue.
Molti specialisti e operatori tendono infatti a raccomandare alla famiglia di usare solo l'italiano, che il bambino può sperimentare in tutti i posti in cui vive e cresce, a svantaggio della prima lingua (o di una seconda) materna o paterna, che viene abbandonata. Genitori cinesi, albanesi, rumeni, arabi, peruviani oppure di nazionalità miste, da un certo punto in poi dovranno interrompere la comunicazione nella prima lingua (il cinese, l'albanese, il rumeno, l'arabo, il peruviano, ecc.) - che conoscono bene - e parlare solo in italiano - che conoscono più o meno bene - quando è presente il bambino con disordine dello sviluppo (DS). Cosa sappiamo del bilinguismo nei bambini con disordini dello sviluppo? Conoscere più lingue aggrava le difficoltà di comunicazione verbale? La rivista Journal of Communication Disorders ha dedicato all'argomento l'ultimo numero, che permette di fare un punto sulle prove scientifiche disponibili, sulle opinioni degli operatori, sulle politiche educative e assistenziali e sulle prospettive future. Nell'articolo dal titolo Bilingualism in children with developmental disorders: A narrative review, Elizabeth Kay-Raining Bird, Fred Genesee e Ludo Verhoeven adottano la definizione di bilinguismo come uso regolare di due lingue. Tale definizione, che non si basa sul livello di conoscenza, si adatta bene ai bambini con DS che, per quanto non riusciranno mai ad acquisire completamente alcuna lingua, hanno la necessità di usare due lingue per crescere e svolgere in modo ottimale le diverse attività della vita quotidiana, nei diversi contesti. Gli autori presentano una revisione degli studi finora condotti in tre gruppi di bambini bilingui con DS: quelli con Disturbo Specifico di Linguaggio (DSL), quelli con Disturbo dello Spettro Autistico (ASD) e quelli con Sindrome di Down (SD). Si tratta di tre condizioni che presentano difficoltà della comunicazione verbale e/o dell'interazione sociale, che nelle ultime due condizioni possono essere associate a disabilità intellettiva da lieve a severa. Secondo quanto riportato da Kay-Raining Bird, Genesee e Verhoeven:
Se confrontati con i bambini con sviluppo tipico, i bambini bilingui con DS mostrano le caratteristiche difficoltà di linguaggio di diversa gravità. Tali difficoltà sono le stesse che si osservano nei bambini monolingui con DS. Se i bambini bilingui con DS vengono confrontati con i bambini monolingui con DS non mostrano difficoltà aggiuntive e questo si verifica nel confronto con ciascuna delle due lingue parlate dai bilingui con DS. L'età di acquisizione della seconda lingua e il tempo di esposizione a ciascuna delle due lingue sono i fattori che condizionano le abilità verbali e la comunicazione nei bilingui con DS. La conclusione è quindi forte: Il bilinguismo non aggrava le difficoltà di comunicazione nei bambini con disordini dello sviluppo. I bambini con disordini dello sviluppo devono avere le stesse opportunità dei bambini con sviluppo tipico di imparare una seconda lingua, attraverso piani individualizzati per la logopedia e per la didattica. La versione estesa di questo post si può trovare sul blog ![]() A. Ora vorrei sapere tutte le parole che iniziano per 'L' - ... luce, lumbre, linguellolo, lombrello, ludito, lapostrofo,... B. E questa cos'è? - issala C. E questa? - si trova a Giza ma non è la piramide... SFI? - sfinge, certo! Oggi è la IX Giornata dell'Afasia. L'afasia è un disturbo del linguaggio causato da un danno al cervello. Il disturbo può interessare una o più componenti alla base della produzione e della comprensione del linguaggio e non è una conseguenza di difficoltà percettive, motorie o di memoria. Il danno al cervello può essere determinato da ictus, trauma cranico, tumore, encefalite, meningite e malattie degenerative. Le afasie interessano più di 200.000 persone in Italia e ogni anno si stimano circa 20.000 nuovi casi. Non fanno distinzioni di età: possono essere affetti bambini, adolescenti, adulti e anziani. Gli estratti che ho riportato sopra riguardano le risposte che un bambino con trauma cranico (A.), un adolescente con ictus (B.) e un adulto con trauma cranico (C.) mi hanno dato durante l'esame neuropsicologico a poche settimane di distanza dall'evento morboso. L'afasia può essere transitoria, persistente, cronica o progressiva. Se è causata da una condizione acuta, nelle ore o nelle settimane successive al danno cerebrale va incontro a un recupero spontaneo. La persistenza delle difficoltà di linguaggio richiede un intervento di riabilitazione logopedica, che può lentamente portare al completo recupero oppure allo sviluppo di strategie alternative di comunicazione. La complessità del periodo di recupero dipende dalla presenza di altre difficoltà associate, che rendono necessarie anche la riabilitazione neuropsicologica nei casi di disturbi percettivi, attentivi, ecc. e la riabilitazione motoria nei casi di emiparesi. La gravità dell'afasia dipende dalla sede, dall'estensione e dalla causa del danno cerebrale. La tempestività degli interventi riabilitativi, una volta che la condizione clinica sia stabile, riduce la frequenza di sintomi depressivi e ansiosi che insorgono per reazione alle difficoltà di comunicazione. Per le persone afasiche è importante che l'ambiente in cui vivono (famiglia, scuola, lavoro, ecc.) non metta ulteriori ostacoli e pressioni alla comunicazione verbale. L'A.IT.A – Federazione delle Associazioni Italiani afasici ha messo a punto un opuscolo informativo per fornire le informazioni base sulle afasie e su come vivere, relazionarsi e parlare, sì parlare, con le persone afasiche. L'opuscolo, redatto dall'afasiologa di lungo corso Anna Basso ha per titolo: L'afasia – La persona afasica – La riabilitaizone. Ho estratto alcune indicazioni: Per parlare con una persona afasica - mantenere sempre il contatto oculare - parlare lentamente - usare frasi brevi - iniziare la frase dicendo di cosa si vuol parlare - utilizzare tutti i canali di comunicazione: verbale, gestuale, mimico - specificare se si vuole fare una domanda o altro Quando si ascolta - lasciare tempo - non “mettere le parole in bocca” - chiedere sempre conferma - far notare eventuali incongruenze - assumersi la responsabilità di non aver capito Il Maestro Dario Fo, appena scomparso, simulò con il Grammelot il discorso di un afasico fluente in uno spot per AITA: La Disforia di Genere negli adulti e nei bambini
Il DSM definisce la Disforia di genere come la “marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi”, che si manifesta attraverso alcuni criteri codificati e che “è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre importanti aree”. Nei bambini, tra i criteri codificati sono inclusi i seguenti: 2. Nei bambini (genere assegnato), una forte preferenza per il travestimento con abbigliamento tipico del genere opposto o per la simulazione dell’abbigliamento femminile; nelle bambine (genere assegnato), una forte preferenza per l’indossare esclusivamente abbigliamento tipicamente maschile e una forte resistenza a indossare abbigliamento tipicamente femminile. 3. Una forte preferenza per i ruoli tipicamente legati al genere opposto nei giochi del “far finta” o di fantasia. 7. Una forte avversione per la propria anatomia sessuale. 8. Un forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie corrispondenti al genere esperito. Nella diagnosi di Disforia di genere deve essere specificata l’eventuale presenza di un Disturbo dello Sviluppo Sessuale (li ho descritti in Una selezione di grandi miti sullo sviluppo del bambino. Parte terza). Allo stato attuale, quello che è certo è che i pediatri e gli specialisti dell’età evolutiva (neuropsichiatri infantili, psicologi) non chiedono informazioni sull’identità di genere di bambini e adolescenti. Riconoscere la disforia di genere è fondamentale per ridurre la sofferenza dei minori e il disagio delle loro famiglie. Per Petterlini, Polo e Gamba (in Rigobello e Gamba 2016), le conseguenze negative di questo mancato riconoscimento “in età evolutiva, possono essere il rifiuto scolare, lo sviluppo di depressione e/o di ansia, l’abuso di sostanze, la difficoltà a sviluppare e mantenere relazioni, l’isolamento sociale” e i tentativi di suicidio. Le autrici, inoltre, aggiungono che “nel panorama italiano la maggiore difficoltà sembra essere quella di instaurare una rete di supporto che abbracci i diversi ambiti in cui il bambino o l’adolescente vive: la famiglia, la scuola, il settore sportivo, gli amici, i pediatri o i medici di medicina generale”. Che fare? Se un bambino mostra le caratteristiche di uno sviluppo atipico dell’identità di genere non è il caso di allarmarsi né di correggerlo. I bambini si sentono più forti e capaci di difendersi quando sentono che i genitori sono dalla loro parte . E’ importante far sapere a vostro/a figlio/a che l’amate in qualunque modo sia. E’ importante anche che loro sappiano che farete sapere a tutti che siete dalla loro parte.Dobbiamo ancora migliorare la nostra cultura e l’educazione fin dalla scuola dell’infanzia, sgretolare gli stereotipi ma abbiamo in Italia dei professionisti competenti e dei centri specializzati per minori (per ora non in tutte le regioni) che possono fornire le indicazioni opportune. Sappiamo che la maggior parte dei bambini con organizzazione atipica dell’identità di genere alla pubertà si identificherà con il genere assegnato alla nascita e potrà poi avere un orientamento eterosessuale, omosessuale o bisessuale. I bambini e gli adolescenti che invece continueranno a manifestare un’identità transgender potranno — assieme alle loro famiglie — intraprendere un percorso di approfondimento medico e psicologico. L’ONIG (Osservatorio Nazionale dell’Identità di Genere) fornisce anche indicazioni dettagliate ai genitori su Cosa fare se i vostri figli hanno uno sviluppo atipico dell’identità di genere. In passato si pensava che il comportamento conseguente allo sviluppo atipico dell’identità di genere fosse il segno di una problematica che doveva essere corretta, attualmente è chiaro che questo approccio è sbagliato e che sarebbe pericoloso per la salute mentale di vostro/a figlio/a. Professionisti competenti nella gestione di altre difficoltà evolutive non sono necessariamente competenti in questo ambito. E’ importante che vi informiate e scegliate in modo consapevole. E’ importante che chiediate ai professionisti, medici e terapeuti che incontrate, cosa pensano dello sviluppo atipico della identità di genere e come pensano di gestirlo. Sarebbe utile conoscere la loro esperienza in questo campo e/o chiedere loro di mettersi in contatto con professionisti esperti dell’ONIG per un confronto, uno scambio di informazioni o una supervisione. continua qui |
ScopoDescrizione dei disturbi neuropsicologici e dello sviluppo, con indicazioni pratiche. Archivio
Aprile 2019
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